324 research outputs found

    Stratified Slope-Waste Deposits in the Esino River Basin, Umbria-Marche Apennines, Central Italy

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    Evoluzione quaternaria del bacino di Leonessa (Rieti)

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    Il bacino di Leonessa è una delle maggiori depressioni tettoniche intermontane dell’Appennino Centrale. A differenza dalle altre depressioni, disposte in direzione appenninica con la faglia bordiera principale sul lato orientale, il bacino è orientato in senso WNW - ESE ed ha la faglia bordiera principale sul suo margine sud-occidentale. Il più antico deposito di origine continentale che riempie la depressione non è affiorante ed è stato rinvenuto solo in alcuni sondaggi. E’ costituito da alternanze di sabbie-argillose e ghiaie (attribuite da GE.MI.NA. ad un generico Pliocene). I sedimenti affioranti sono stati distinti in sintemi. Quello stratigraficamente più basso è il Sintema di Villa Pulcini, costituito da un alternanza di argille, argille torbose, marne e sabbie argillose di ambiente deposizionale da lacustre a piana a canali intrecciati (braided plain), attribuibili alla parte alta del Pleistocene inferiore. Il Sintema di Villa Pulcini è parzialmente coperto dal Sintema di Leonessa, costituito da depositi di conoide alluvionale (conoide della Vallonina) a ovest e da depositi lacustri a est, ambedue contenenti, nella parte alta, intercalazioni di vulcaniti risedimentate. Il ritrovamento di un molare di M. (M.) trogontherii all’interno di depositi alluvionali consente di riferire al Galeriano (U.F. Slivia - ? U.F. Fontana Ranuccio) la porzione basale del sistema. I due sintemi precedenti sono coperti a tratti da sabbie e sabbie argillose rossastre (Sintema di Terzone), con spessore che raramente supera i 5 metri, ricche di elementi vulcanici rimaneggiati. Nella parte più meridionale del bacino, all’interno della profonda incisione del Fosso Tascino, sono localmente presenti due ordini di terrazzi alluvionali. Attualmente il Fosso Tascino mostra un tipico esempio di letto a canali intrecciati (braided), con una piana che supera i 100 m di larghezza. Nella zona di raccordo tra il versante NE del Monte Tilia e i Sintemi di Leonessa e di Terzone, sono stati riconosciuti due ordini di conoidi alluvionali sovrapposti, costituiti in prevalenza da sedimenti ghiaiosi con una minore componente sabbiosa, poggianti in discordanza sui sedimenti più antichi. La definizione degli eventi erosivo-deposizionali che hanno contraddistinto l’evoluzione del paesaggio nel bacino di Leonessa costituisce un passo ulteriore verso un più preciso inquadramento temporale dell’attività tettonica distensiva, del sollevamento regionale e dei cambiamenti climatici che hanno portato all’attuale assetto geomorfologico dell’Appennino Centrale

    Permafrost-based geomorphology of the Mt. Foscagno - Mt. Forcellina ridge (Adda–Inn River basins, Central Italian Alps)

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    The permafrost-based geomorphological map of the Mt. Foscagno–Mt Forcellina ridge (Central Italian Alps) shows the distribution of permafrost probability (high, medium, low probability, and probable absence) obtained by the application of PERMACLIM (Guglielmin et al., 2003), a GIS-based model integrating Digital Elevation Model (DEM) topographic data and the Climatic DataBase (CDB) available from Automatic Weather Stations (AWS). In addition, the map provides information on the outcropping bedrock, the genesis and grain size of near-surface deposits, and geomorphological features with particular reference to periglacial and glacial landforms. Moreover, the map represents locations and values of ground measurements, Bottom Temperature of winter Snow cover (BTS) and Vertical Electric Soundings (VES), and the Mean Annual Air Temperature (MAAT; Guglielmin et al., 2003)

    Analisi dell’attività quaternaria delle faglie normali della Montagna dei Fiori e del bacino di Leonessa

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    La definizione dell’attività di strutture tettoniche è un pre-requisito fondamentale per la comprensione delle caratteristiche sismotettoniche di un settore del territorio italiano che, come l’Appennino centrale, è stato interessato in tempi storici da eventi sismici di elevata magnitudo. Dunque, l’individuazione e la caratterizzazione dell’attività tardopleistocenica-olocenica di faglie potenzialmente responsabili di forti terremoti è di cruciale importanza in un’ottica di valutazione della pericolosità sismica. Nel presente lavoro vengono analizzate due faglie normali che interessano l’Appennino centrale, la faglia normale che delimita ad ovest la Montagna dei Fiori, uno dei rilievi più esterni della catena, e quella che borda a sud-ovest il bacino di Leonessa, con l’obiettivo di dare un contributo per una migliore definizione delle caratteristiche sismotettoniche di questo settore del territorio nazionale. La faglia normale della Montagna dei Fiori è una struttura lunga almeno 15 km la cui attività è stata responsabile della dislocazione di circa 900 m del substrato carbonatico. Il piano di faglia e la scarpata ad esso associata sono visibili in modo discontinuo lungo il versante. I rilevamenti geologici e geomorfologici effettuati chiariscono come l’esposizione del piano di faglia sia esclusivamente legata a fenomeni gravitativi, anche di grandi dimensioni, che interessano le formazioni calcareo-marnose (Scaglia Cinerea, Marne con Bisciaro, Marne con Cerrogna) affioranti al tetto della struttura, e a fenomeni di erosione selettiva fra le formazione della successione umbro-marchigiana affioranti al letto ed al tetto. La faglia, inoltre, è sigillata da una paleosuperficie di origine erosiva sospesa varie centinaia di metri al di sopra del fondovalle attuale del fiume Salinello (in località Colle Osso Caprino) e da brecce di versante (in località Pozzoranno) associabili a quelle riconosciute in modo ubiquitario in Appennino entrale ed attribuite al Pleistocene inferiore. Come per il caso della Montagna dei Fiori, il piano della faglia bordiera del bacino di Leonessa è visibile in modo discontinuo lungo i versanti che delimitano il settore meridionale della depressione. I nostri rilevamenti di terreno ci consentono di attribuire l’esposizione del piano i) a fenomeni gravitativi che interessano la fascia detritica depostasi alla base della scarpata di faglia e ii) a fenomeni di erosione selettiva fra i detriti ed il substrato carbonatico affiorante al letto della struttura tettonica, ad opera di corsi d’acqua perpendicolari al versante. Depositi di conoide alluvionale (“conoide alluvionale di Leonessa”) attribuiti da alcuni autori ad un contesto cronologico compreso fra la fine del Pleistocene inferiore ed il Pleistocene medio e che determinano una superficie terrazzata chiaramente visibile in tutto il bacino, non sembrano essere stati interessati (né dislocati né basculati) dall’attività di tale faglia. Inoltre, ulteriori due ordini di conoide alluvionale depostisi al di sopra di quello sopra citato ed attribuibili tentativamente al Pleistocene superiore, sigillano chiaramente la struttura tettonica. Dunque, dalle nostre osservazioni si evince che, per quello che riguarda la faglia normale della Montagna dei Fiori, tale struttura tettonica non risulta essere attiva almeno a partire dal Pleistocene inferiore e che l’esposizione del piano di faglia è esclusivamente legata a fenomeni gravitativi e di morfoselezione. Ciò corroborerebbe quanto proposto da altri autori che attribuiscono a questa struttura tettonica esclusivamente un’attività pre- e sin- fase tettonica compressiva. Per quello che riguarda il bacino di Leonessa, è possibile ipotizzare che la faglia bordiera sia stata attiva fino al Pleistocene inferiore, creando lo spazio per l’accumulo dei depositi del conoide alluvionale di Leonessa. L’attività sarebbe poi terminata, o quantomeno si sarebbe ridotta ad un tasso decisamente inferiore a quello degli agenti morfodinamici, a partire dal Pleistocene medio

    Fagliazione normale attiva lungo il versante occidentale del Monte Morrone (Appennino Centrale, Italia)

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    L’Appennino Centrale è interessato da sistemi attivi di faglie normali potenzialmente responsabili di terremoti di elevata magnitudo (fino a 7). Alcuni forti terremoti storici avvenuti in questo settore di catena appenninica sono stati attribuiti all’attivazione di alcune di questi sistemi di faglia, mediante analisi paleosismologiche e il confronto fra la distribuzione del danneggiamento associato a tali eventi sismici e la distribuzione spaziale delle faglie attive. Ad alcune di queste strutture tettoniche attive, invece, non è possibile associare alcun evento sismico storico noti da catalogo e per questo esse vengono considerate come strutture sismogenetiche silenti. Pertanto, a queste faglie è comunemente attribuita un’elevata pericolosità sismica. Il presente studio è mirato a caratterizzare l’attività tardo-Quaternaria di una queste faglie silenti, nello specifico quella che borda il versante occidentale del Monte Morrone (nell’Appennino abruzzese), cercando di definirne 1) la cinematica, 2) il tasso di movimento e 3) la massima magnitudo attesa da un evento di attivazione. Le analisi (comprendenti rilevamento geologico, geomorfologico e strutturale, nonché datazioni al 14C e determinazioni tefrostratigrafiche) effettuate lungo l’espressione in superficie di questa struttura tettonica, costituita da due segmenti di faglia paralleli, orientati NW-SE, hanno permesso di confermare che essa è prevalentemente caratterizzata da una cinematica normale, con una minore componente obliqua sinistra. Tale cinematica sarebbe consistente con un’estensione orientata circa N 20°. Il tasso di movimento del segmento di faglia occidentale è stato definito mediante l’individuazioni di depositi (prevalentemente conoidi alluvionali), cronologicamente vincolati, dislocati dall’attività di tale segmento. Lo slip rate è risultato essere dell’ordine di 0.4±0.07 mm/anno. Per quanto concerne il segmento orientale, la sua attività tardopleistocenica – olocenica è indicata dalla dislocazione lungo di esso di depositi di versante attribuiti all’UMG. Tuttavia, la mancanza di sedimenti e/o morfologie coevi nel blocco di letto ha impedito di valutare il tasso di movimento di questo segmento. Tuttavia, le analisi geologico-strutturali effettuate, unite ad una revisione critica della letteratura disponibile sui modelli evolutivi dei sistemi di faglie normali, hanno permesso di ipotizzare per il segmento di faglia orientale uno tasso di movimento >0 ma inferiore a quello definito per il segmento occidentale, ossia <0.4±0.07 mm/anno. Questo consente di definire per l’intero sistema di faglie del Monte Morrone uno slip rate compreso fra 0.4±0.07 e 0.8±0.09 mm/anno. Infine, applicando le equazioni empiriche proposte da Wells e Coppersmith (1994) che legano la magnitudo momento e i) la lunghezza in superficie della struttura tettonica e ii) il rigetto (massimo e medio) per evento di attivazione – considerando un tempo di ricorrenza di circa 2000anni – è stato possibile definire che la massima magnitudo attesa da un terremoto originato lungo il sistema di faglie normali del Monte Morrone (lungo circa 23 km) è dell’ordine di 6.6-6.7

    Evidenze di fagliazione inversa quaternaria nel settore ionico nord-orientale della Calabria (Rossano Calabro)

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    Il settore dell’arco Calabro è interessato da sistemi di faglie normali attive, responsabili di forti terremoti storici di Magnitudo superiore a 6. Gli eventi sismici maggiori sono avvenuti principalmente tra lo stretto di Messina e la valle del Crati. Tra questi il terremoto del 1783 (M=6.9), del 1905 (M=7.3), del 1638 (M=6.7), del 1832 (M=6.5) e del 1836 (M=6.2) (Working Group CPTI 04). Alcuni di questi eventi sono stati associati all’attivazione di alcune strutture tettoniche (Galli & Scionti 2006; Galli & Bosi 2002; Valensise & Pantosti 2001). L’evento del 1836, che ha colpito il settore nord-orientale della Calabria, poco a sud della piana di Sibari, è stato associate tentativamente da Moretti (2000) all’attivazione di una serie di segmenti di faglia orientati E-W e NW-SE individuati tra Corigliano e Rossano. Questo lavoro ha come scopo quello di individuare strutture sismogenetiche attive nell’area colpita dall’evento sismico del 1836 ed, in particolare, quelle causative dell’evento sismico del 1836. A tal fine sono stati effettuati rilevamenti geologici e geomorfologici, con particolare riguardo alla zona dell’abitato di Mirto, poco a sud della città di Rossano Calabro, dove uno scavo ha messo in evidenza depositi di origine marina in facies deltizia, datati per via paleontologica ad un’età non più antica dell’Emiliano (Pleistocene inferiore), dislocati da una struttura tettonica ad orientazione circa NNW-SSE, a cinematica prevalentemente inverse, con senso di trasporto verso SSW. La dislocazione sembra interessare anche depositi continentali fluvio-colluviali incassati all’interno dei depositi deltizi e separati da questi da una superficie di erosione. Da questi sedimenti continentali è stato prelevato un campione per effettuare una datazione radiometrica, ancora in corso. La localizzazione di questa struttura tettonica è compatibile con l’ubicazione della zona epicentrale del terremoto del 1836, derivata dai dati macrosismici (CPTI 04). Inoltre, lungo il lineamento, pochi km a nord dello scavo studiato, in località Cento Fontane, viene segnalata risorgenza di acque calde in occasione dell’evento sismico menzionato

    Fagliazione normale attiva e deformazioni gravitative profonde di versante: il caso del versante occidentale del Monte Morrone (Appennino Centrale, Italia)

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    Questo lavoro ha l’obiettivo di indagare la relazione fra l’attività tettonica e l’innesco di deformazioni gravitative profonde lungo i versanti montuosi. In base alla letteratura esistente, la tettonica può svolgere un duplice ruolo nell’influenzare l’evoluzione in senso gravitativo dei versanti: i) un ruolo passivo, legato all’influenza sull’assetto strutturale dei versanti che può essere ereditato da una fase tettonica non più attiva; ii) un ruolo attivo, rappresentato dalle modifiche che essa può determinare sui versanti, producendo incrementi dell’energia del rilievo e dello stress tensionale subito dai volumi di roccia. In quest’ottica è stato effettuato uno studio lungo il versante occidentale del Monte Morrone, rilievo che delimita ad oriente il bacino di Sulmona, nell’Appennino abruzzese, e che costituisce un’anticlinale da thrust formatasi durante il Mio-Pliocene. Questo versante del rilievo è interessato da un sistema attivo di faglie normali (orientato NW-SE), lungo circa 23 km, costituito da due segmenti di faglia paralleli, uno localizzato nel settore intermedio del versante e uno localizzato alla base del rilievo. Lungo questo versante sono state riconosciute in passato alcune morfologie – quali trincee, depressioni allungate, scarpate in contropendenza – indicanti l’occorrenza di movimenti gravitativi profondi (tipo sackung). Sono state condotte osservazioni geomorfologico-strutturali atte a mappare tutti gli elementi morfologici legati ai movimenti gravitativi profondi. Sono stati altresì realizzati 4 scavi geognostici all’interno di due trincee gravitative per cercare di ottenere elementi utili alla caratterizzazione dell’evoluzione recente di questi fenomeni gravitativi (Fig.1). Le analisi condotte hanno permesso di definire che tali fenomeni gravitativi di grande scala sono determinati dall’incremento dell’energia del rilievo prodotta dall’attività del segmento di faglia occidentale. La faglia orientale, invece, viene esclusivamente utilizzata, nella sua porzione più superficiale, come superficie di scivolamento delle masse rocciose. L’innesco dei fenomeni gravitativi sarebbe dunque avvenuto successivamente all’inizio dell’attività del segmento di faglia occidentale che, secondo Gori et al. (2007), avrebbe avuto luogo in un momento successivo all’attivazione del segmento orientale, dopo il Pleistocene Inferiore. Questo quadro evolutivo è suggerito dal fatto che la formazione di alcune delle trincee gravitative ha dislocato brecce di versante attribuite al Pleistocene Inferiore. Queste, infatti, si sono depositate su un paleo-paesaggio, attualmente individuabile fra i due segmenti di faglia, sospeso sulla piana attuale, che era localizzato alla base della scarpata di faglia relativa al segmento orientale, quando quello occidentale non era ancora attivo. La realizzazione di scavi geognostici all’interno di due trincee gravitative ha permesso di individuare la dislocazione dei depositi di riempimento lungo le scarpate che delimitano tali depressioni e lungo piani di taglio gravitativi secondari. I depositi messi alla luce dagli scavi sono prevalentemente costituiti da detrito di versante, sedimenti di origine colluviali e paleosuoli. Datazioni radiometriche effettuate su campioni di materiale organico prelevato dai paleosuoli e su frammenti di carbone contenuti nelle unità colluviali, indicano che i movimenti lungo le scarpate delle trincee è proseguito anche nel corso del tardo Olocene, nello specifico successivamanete a 10660-10540 cal. a.C./10430-9910 cal. a.C.. Questo indicherebbe che le deformazioni gravitative che interessano il versante occidentale del Monte Morrone possono considerarsi attive. Infine, anche se non sono state riconosciute chiare evidenze che mettano in relazione eventi di attivazione del sistema di faglie normali del M. Morrone con episodi di accelerazione dei movimenti gravitativi, questo non può essere escluso e, anzi, deve essere considerato come probabile

    Deep-seated gravitational slope deformation, large-scale rock failure, and active normal faulting along Mt. Morrone (Sulmona basin, Central Italy): Geomorphological and paleoseismological analyses.

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    Active faulting is one of the main factors that induce deep-seated gravitational slope deformations (DGSDs). In this study, we investigate the relationships between the tectonic activity of the NW–SE normal fault system along Mt. Morrone, central Apennines, Italy, and the evolution of the associated sackung-type DGSD. The fault system is considered to be the source of M 6.5–7 earthquakes. Our investigations have revealed that the DGSD began to affect the Mt. Morrone SW slope after the Early Pleistocene. This was due to the progressive slope instability arising from the onset of the younger western fault, with the older eastern fault acting as the preferred sliding zone. Paleoseismological investigations based on the excavation of slope deposits across gravitational troughs revealed that the DGSD was also responsible for the displacement of Late Pleistocene–Holocene sediments accumulated in the sackung troughs. Moreover, we observed that the investigated DGSD can evolve into large-scale rock slides. Therefore, as well as active normal faulting, the DGSD should be considered as the source of a further geological hazard. Overall, our approach can be successfully applied to other contexts where active normal faults control the inception and evolution of a DGSD

    Evidence of active inverse faulting in the north-eastern sector of the Calabrian arc (Italy)

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    The Calabrian arc represents an accretionary wedge located between the southern Apennines and the Maghrebian chain from which it is separated by two regional shear zones, i.e. the “Pollino Line” and “Taormina Line”, respectively. Since the Pliocene, extension affected the Calabrian chain, determining the formation of normal faults systems. Paleoseismological investigations allowed to associate some of the strongest historical earthquakes occurred in the Calabrian region (Mw up to 7.5) to some of these normal faults. We analyse the north-eastern sector of the arc which is characterised by a complex structural setting, being affected by the Pollino Line. Indeed, an ~E-W trending fault system (Rossano Fault) cut the area. This fault system displays a complex kinematic history, with the superimposition, during the Quaternary, of a normal kinematics over an older strike-slip one. About two km SE of the Mirto village, an excavation exposed marine deposits, attributed by means of paleontological analyses to an age not older than the Lower Pleistocene, overlain by alluvial-colluvial sediments. These deposits have been deformed by a compressive, NW-SE trending fault, verging landwards. The continental sediments affected by the fault have been radiocarbon dated between 10.018±43 BP and 8397±47 BP. This fault may represent the surficial expression of 1) a splay of a back-thrust, related to a main active thrust verging towards NE or 2) an active NW-SE transpressive fault or 3) a local compressive deforma-tion (i.e. a restraining bend) related to an active strike-slip fault. Works are still in progress in order to define the relationship of this compressive fault with the near Rossano fault, to which Galli et al (2006d) attributes a Late Holocene normal activity, considering that this sector has been struck in 1836 by a strong earthquake (Mw=6.2), the causative fault of which has been only tentatively related to the aforementioned Rossano fault
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